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24 MAGGIO 1915 – 24 MAGGIO 2015:


img/162991guerra.jpg? Un secolo fa l'italia entrava in guerra
Il 28 giugno 1914 a Serajevo ha luogo l'attentato ai danni di Francesco Ferdinando e della moglie Sofia Choteck. Francesco Ferdinando è l'erede presuntivo dell'Impero Austroungarico.
La lunga teoria degli attentati del periodo di Francesco Giuseppe, nel corso dei quali era rimasta vittima anche la moglie Elisabetta di Baviera, la celebre Sissy dei serials cinematografici, culminava In Bosnia incendiando l'Europa e poi il mondo.
Il 28 luglio l'Austria mobilita e poco dopo la seguono Germania, Francia, Gran Bretagna e Russia.
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Dopo le avanzate degli Imperi Centrali la situazione si stabilizza e per giunta nella gigantesca Battaglia di Leopoli l'Austria è battuta perdendo gran parte della Galizia, mentre la Germania si ferma sulla Marna ad opera delle truppe francesi del Generale Joffre. A parziale "risarcimento danni" interverranno le Battaglie di Tannenberg e dei Laghi Masuri, che permetteranno ai tedeschi di stabilizzare il fronte orientale dopo l'avanzata russa in Prussia.
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Persa la fama dell'imbattibilità, successiva a Sédan, l'Impero Germanico dovrà affrontare la guerra di trincea insieme con l'alleata Austria-Ungheria.
Il poderoso esercito tedesco era ritenuto imbattibile dal Kaiser, che il 4 agosto 1914 in un ordine del giorno aveva spronato la Prima Armata perché annientasse "l'Inghilterra traditrice, schiacciando il risibilmente piccolo esercito del Generale French". Il riferimento è al corpo di spedizione britannico, al comando di Sir John French, accorso in aiuto della Francia.
Che la guerra non sarebbe stata breve – come avrebbero voluto politici e Generali tedeschi ed austroungarici – si deduce dai timori resi da Lord Kitchener, che impose a due delle sei divisioni al comando di French di restare in patria in difesa del territorio metropolitano. L'esercito inglese era composto di professionisti della guerra, addestrato ma numericamente ridotto (50 mila uomini), per cui non avrebbe potuto reggere l'impatto con gli eserciti continentali per i quali vigeva la coscrizione obbligatoria: l'esercito austroungarico constava di 3,5 milioni di uomini, quello francese di 4 milioni, quello tedesco di circa 5 milioni e quello russo di oltre 6 milioni. E ci riferiamo alle masse belliche pronte al combattimento, dalle quali erano escluse le riserve, che, nel caso tedesco, venivano sottoposte ad un periodico ed efficace addestramento, per cui sarebbero state pronte in breve tempo.

Tuttavia gli eserciti dell'Intesa non erano complessivamente pronti a passare al contrattacco, addestrati (eccettuato quello inglese) alla guerra difensiva, che ne riduceva sensibilmente le possibilità di avanzata e contrattacco.
Il risultato è costituito dalla guerra di trincea o di posizione, che comporterà una distruzione di uomini e mezzi, cui l'umanità non aveva mai assistito.

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I treni che trasportano i feriti verso gli ospedali militari e dopo le prime cure negli ospedali da campo rappresentano una costante quotidiana, mentre gli operatori sanitari sono sottoposti ad uno stress senza precedenti, insieme con suore e volontari. E non sono solo le ferite da arma da fuoco a preoccupare i comandi, bensì anche epidemie di vario genere e cimici e pidocchi, che costituiranno il tormento quotidiano dei soldati.
Alla fine del 1914 la situazione strategica è favorevole agli Imperi Centrali, così come agli inizi del 1915. Il I° maggio i tedeschi, utilizzando l'iprite, investono le truppe inglesi costringendole ad arretrare fino ad Ypres (la città che darà il nome al composto chimico tossico, lacrimogeno e causticante, denominato appunto iprite).
Risale a questo episodio bellico la poesia di McCrae:

"Fioriscono i papaveri nei campi di Fiandra
fra le croci che, fila dopo fila,
segnano il nostro posto; e nel cielo
volano le allodole, levando coraggioso il canto
che quaggiù fra i cannoni quasi non s'ode.

Noi siamo i Morti. Qualche giorno fa
eravamo vivi, sentivamo l'alba,
vedevamo rifulgere il tramonto,
amavamo ed eravamo amati, e ora siamo distesi
nei campi di Fiandra.

Riprendete voi la nostra lotta con il nemico:
a voi con deboli mani affidiamo
la fiaccola; a voi il compito di levarla in alto.
Se romperete il patto con noi che moriamo,
noi non riposeremo, anche se spunteranno i papaveri
nei campi di Fiandra.

La poesia sarà pubblicata anonima la prima volta sulla rivista "Punch" (8 dicembre 1915) e sarà "replicata" spesso in lingua inglese.
Il 7 maggio il piroscafo Lusitania della Cunard Lines sarà colpito da un siluro nei pressi della costa irlandese meridionale inabissandosi. È vittima dell'indiscriminata guerra sui mari innescata dai comandi tedeschi. Il Lusitania sarà il simbolo della lotta fra il "Bene" ed il "Male".
Tuttavia l'episodio non produce l'entrata in guerra statunitense, pur incrinando i rapporti fra America ed Imperi Centrali. Innesca invece l'umorismo in qualche vignetta tedesca, in cui si rappresenta la morte agli sportelli della Cunard Lines, mentre vende i biglietti di imbarco, con la didascalia: "Il commercio innanzitutto".
Di lì a poco gli Imperi Centrali riconquistano la Galizia, facendo 153 mila prigionieri e catturando 300 cannoni. La Battaglia di Leopoli è vendicata, sebbene l'esercito austroungarico non disporrà più delle truppe ben addestrate di inizio conflitto, cadute prigioniere o distrutte in gran parte proprio a Leopoli.
E l'Italia?... L'Italia era alleata nella Triplice Alleanza con l'Austria e la Germania. Si era divisa fra interventisti e neutralisti, fra partigiani della Triplice e partigiani dell'Intesa.
L'Italia è reduce dalla crisi economica che l'ha interessata nel 1898, 1907 e 1913, aggravata dalla campagna in Tripolitania (1911-1912).
La guerra costituirà per l'economia una boccata di ossigeno, tant'è che nel 1918 gli investimenti delle SPA ascenderanno a tre miliardi di lire, con particolare rilievo per i settori industria pesante, automobilistica e siderurgica, la quale ultima assisterà alla fusione dell'Ilva con la società siderurgica di Savona, la Ligure Metallurgica e le Ferriere Italiane, con un capitale complessivo di 300 milioni di lire.
All'effetto benefico della guerra non sfuggirà l'Ansaldo, che registrerà un incremento di capitale dai 30 milioni del 1915 – 1916 ai 500 milioni del 1918.
Nel 1898 le sommosse occorse in Puglia, Sicilia, Calabria, Basilicata e Campania, causate prevalentemente dalla salita del costo del pane e del grano, avevano scosso l'opinione pubblica.
Neppure il Nord era rimasto immune dalle "scosse sociali". Milano e Firenze avevano seguito l'esempio di Napoli, città in cui si materializzava una politica antisabauda con rigurgiti di brigantaggio.
La repressione operata dalle truppe regie (a Monza e Milano il Generale Bava-Beccaris si era comportato da "fedele" lealista) produrrà la reazione verso il Re Umberto I, che cadrà vittima di un attentato di matrice anarchica il 29 luglio 1900 a Monza.

I Primi Ministri di Rudinì e Pelloux non avevano interpretato al meglio l'evoluzione dei tempi ed il nuovo Re, Vittorio Emanuele III, insediatosi il successivo 11 agosto, dichiara di voler conservare intatto lo spirito dell'unità e della libertà.
Due anni dopo Zanardelli diviene Presidente del Consiglio e inaugura la stagione delle riforme, proseguita da Giolitti, "ripulito" dallo scandalo della Banca Romana, che aveva coinvolto anche Crispi ed altri notabili, politici e funzionari.

Il 24 luglio 1914 al Marchese di San Giuliano perviene il testo dell'ultimatum austriaco alla Serbia. Costui ritiene proditorio e frutto di aggressione l'attacco alla Serbia, sicché protesta presso le Autorità austroungariche e tedesche. Essendo un atto di aggressione, l'Italia si dichiarerà neutrale anche in caso di intervento russo ed inoltre invoca l'articolo VII dell'alleanza che prevede concessioni territoriali in caso di conflitto. Il Ministro austroungarico Berchtold obietta che il "vantaggio territoriale" si riferisca soltanto alle regioni balcanica ed ottomana e non alle regioni italiane ancora sotto dominio austriaco. L'Austria sostiene che di Trentino non si debba nemmeno discutere ed infine anche la Germania approva la linea dell'alleato. Tuttavia il di San Giuliano ottiene un colloquio con il Ministro austriaco Merey, al quale fa presente la richiesta italiana.

Dopo molti tentennamenti l'Austria e la Germania accettano la proposta a condizione che l'Italia entri immediatamente in guerra. Ciò non avviene poiché il Consiglio dei Ministri si pronuncia per la neutralità lo stesso pomeriggio del I° agosto. Intanto il di San Giuliano obietta che non ci sia connessione fra intervento e compensi territoriali, sicché l'Italia potrà restare fuori dal conflitto.

Luigi Cadorna, che aveva sostituito Pollio e propendeva per la Triplice, si era dichiarato pronto a spedire nove corpi d'armata in Germania, riservandone all'eventuale fronte francese solo tre.

Certamente l'apporto italiano è sottovalutato dagli Imperi Centrali, che non lo valutano in misura oculata.
Si tratta sostanzialmente di una rottura, in cui non si configura completamente il tradimento italiano, come si asserisce senza molta riflessione. Le colpe della rottura risultano equamente divise, sebbene Austria e Germania cavalchino la tigre del tradimento di fronte al mondo intero.
Venuto meno l'accordo con gli Imperi Centrali, Cadorna propende per un immediata mobilitazione generale, mentre dapprima sia Salandra sia di San Giuliano l'avevano ritenuta eccessiva, in quanto essa avrebbe assunto il significato di provocazione o addirittura di stato di guerra.
Da parte loro, Francia e Gran Bretagna evidenziano l'aggressione al Belgio neutrale e l'uso dei gas proibiti dalle convenzioni internazionali, ad opera dei tedeschi.
Ciò non condiziona sensibilmente i politici italiani, al punto di indurre sospetti nell'Intesa. Inoltre se l'Italia fosse intervenuta in guerra a fianco della Triplice nel caso di possibile vittoria, ciò l'avrebbe collocata in un'incresciosa situazione internazionale, a cagione dell'ambiguità e dell'incertezza.
I contatti con Inghilterra e Francia divengono frequenti, mentre le correnti degli interventisti e neutralisti iniziano una lotta di contrapposizione dapprima netta e via via sempre più sfumata.
I socialisti, abituati alle scissioni ed anche all'ambiguità forse per storica e filosofica costituzione, si dividono fra interventisti e neutralisti, sicché il 26 luglio 1914 Benito Mussolini, Direttore dell'Avanti!, si dichiara contrario alla guerra, imitato da Turati e Prampolini, che definiscono la guerra un prodotto del capitalismo. Papa Benedetto XV, vagamente filo-austriaco e filo-tedesco, si pronuncia anch'egli contro l'inutile strage.
Gli interventisti, favorevoli alla guerra contro gli Imperi Centrali, intanto aumentano di numero. Leonida Bissolati, Gaetano Salvemini e Cesare Battisti sono i maggiori "attivisti". A loro si aggiungono garibaldini, radicali e repubblicani, provenienti quasi tutti dall'antico Partito d'Azione.

In definitiva, le correnti sono così frazionate: neutralisti assoluti, neutralisti condizionati, interventisti rivoluzionari, democratici, liberali ed imperialisti.
L'Italia è divisa ancora una volta: la sua anima nazionale non si compone in unità, ma si frammenta. Essa troverà l'unità nel fango delle trincee, dove i differenti regionalismi convergeranno per la prima volta in una reale unità nazionale.
Mussolini passerà dal neutralismo all'interventismo, imitato da altri socialisti, che si convinceranno della "necessità della guerra".
Salandra è uomo meridionale, passionale, scontroso, colto, intelligente, poco diplomatico, individualista, come molti uomini del Sud, valente docente di Diritto e scrittore non disprezzabile. Il di San Giuliano è uomo raffinato, di acuta intelligenza e diplomatico accorto, legge Mazarino ed apprezza gli scrittori moderni. Giolitti, che potrebbe essere considerato "più completo", si è messo da parte, onorando la tradizione dei vari Cincinnato e Diocleziano che hanno costellato il nostro orizzonte politico di ogni epoca.

Il di San Giuliano emigrerà nell'aldilà il 16 ottobre 1914: una perdita difficilmente colmabile. È sostituito dal Barone Sidney Sonnino, di padre ebreo e madre scozzese. Uomo enigmatico, taciturno, sornione, di notevole intelligenza ed apprezzabile sagacia nelle iniziative sociali. Non ha il tatto diplomatico del di San Giuliano e neppure quella freddezza diplomatica, che non è certamente scortesia ed indifferenza verso gli eventi e gli uomini. Sonnino è convinto assertore della Triplice ed ammira la monarchia asburgica.

Tuttavia in lui intervengono altre ragioni che lo conducono a supporre che l'Austria non avrebbe ceduto alle proposte italiane. Non solo... si convince che gli Imperi Centrali non siano i "signori della guerra" e che si possano quindi sconfiggere.

Ciò sarà importante per giungere "preparati" al Patto di Londra.

Nel marzo-aprile1915 l'avanzata russa in Galizia alimenta speranze ed illusioni nell'Intesa. Il 24 aprile gli Imperi Centrali però dapprima fermano i Russi e quindi contrattaccano riconquistando le posizioni. Al Nord la Polonia è conquistata dai tedeschi nell'estate successiva ed il fronte si stabilizza da Riga alla Bucovina.
Sonnino nell'incontro di Londra insiste sulla questione Trento e Trieste e sulla Dalmazia. Non ritenendo possibile una piena sconfitta germanica, non fa cenno alle colonie tedesche, ma solo ad una vaga intesa sull'Albania, terra povera e pastorale. Convinto assertore della coesistenza pacifica con i popoli slavi nel caso si fossero liberati dal dominio austroungarico, prospetta, e forse progetta, un'influenza italiana in sostituzione di quella austroungarica.
L'infelice espressione del Salandra "sacro egoismo" fa perdere il senso europeo del conflitto all'Italia, per cui si sarebbe dato luogo ad una guerra parallela, che farà parlare di Quarta Guerra d'Indipendenza, generando un riprovevole nazionalismo, che contribuirà ai moti del dopoguerra e alla tendenza totalitaria fascista.

Il 26 aprile si firma il Patto di Londra con l'impegno da parte italiana di intervenire nel conflitto entro un mese.
Il 23 maggio l'Italia dichiara la guerra all'Austria (solo successivamente la dichiarerà alla Germania) ed il giorno successivo "l'esercito marciava per raggiunger la frontiera".
... ma l'Esercito era preparato? L'11 ottobre 1914 il Ministro della Guerra Grandi, che era un Generale, reo di aver acconsentito alla negazione dei fondi per il rafforzamento militare, rassegna le dimissioni. È sostituito dal Sottocapo di Stato Maggiore Generale Zupelli, al cui posto accede il Generale Porro, che, a sua volta, aveva rifiutato la carica a causa dei fondi negati.

Luigi Cadorna, Capo di Stato Maggiore, non ripone molta fiducia nella preparazione militare e ritiene l'Esercito "in uno stato di vera disgregazione", ad onta dei 18.237 milioni spesi nel settore dal 1962 al 1913.
La verità è quasi sempre nel mezzo e il disfattismo di Cadorna non è giustificato. Ad esempio, la Marina era stata in gran parte rinnovata e avrebbe potuto competere con le migliori flotte del tempo, sebbene le corazzate non superassero le 20 mila tonnellate di stazza.
Il Cadorna, da parte sua, benché conscio della deficienza dei mezzi bellici, si produrrà in una serie di attacchi frontali che metteranno in pericolo l'esistenza stessa dell'Esercito, sebbene il suo spirito patriottico fosse innegabile.
Quando la Strafe Expedition evidenzierà il valore dei fanti italiani Cadorna si ricrederà parzialmente sul loro valore per poi rivolgere l'accusa "vilmente ritiratisi senza combattere" nello sfondamento di Caporetto, le cui colpe ricadranno in gran parte su uno dei migliori Generali, Capello. D'altra parte in Trentino il fronte sarà stabilizzato per il valore di uno dei più distinti Generali, Guglielmo Pecori Giraldi, un gentiluomo fiorentino di vecchia scuola militare.

Da Caporetto al Piave, il successore di Cadorna, Armando Diaz, uomo dalla battuta lepida e dalla simpatia tutta napoletana di origine spagnola, opererà un'accorta guerra difensiva che condurrà all'avanzata di Vittorio Veneto ad opera del Generale Caviglia ed all'armistizio del 4 novembre 1918, suggellato dal celebre comunicato "I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza più speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza".
Intanto il vecchio Imperatore Francesco Giuseppe, che aveva scatenato la guerra perché spinto all'intransigenza dall'alleata Germania di Guglielmo II, nel 1916 aveva traslocato nel regno dei morti per tenere compagnia alla sua Elisabetta, lasciando al successore Carlo I l'onere della sconfitta e la fine di una delle più grandi dinastie regnanti della vecchia Europa.
Il 24 maggio 1915, dopo il 20 settembre 1870, e prima del 25 aprile 1945, ha fatto la storia d'Italia e, forse, la fa ancora, pur in un'epoca in cui dello spirito di nazione resta soltanto la speranza.
Il 24 maggio 2015 è il compleanno di una guerra, che porta bene i suoi anni, non dimostrandoli affatto.
La Canzone del Piave di E. A. Mario, alias Gaeta, si canta ancora "duettando" con l'Inno di Mameli in una sorta di competizione con i valzer viennesi, che si esaltavano nel "Danubio Blu", a cui gli italiani hanno potuto contrapporre un fiume, seppur più piccolo, tuttavia pregno di eroismo e fato e presago di fraternità e libertà. Verdi aveva avuto ragione nel dire al Maresciallo Radetzky che per lui aveva solo "marce di ritirate"...







Articolo inserito il 24/05/2015 e redatto da Eliano Brellanova.
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